Prologo
Le solite voci squillanti dei bambini, le solite esclamazioni disgustate, i soliti sguardi inorriditi... questo era lo spettacolo che per anni, per mesi e per giorni mi si era parato davanti agli occhi, l'unica cosa effettivamente distinguibile del mio essere. Ogni sera non sentivo altre parole che non fossero insulti e battute sarcastiche sul mio aspetto. E come biasimarli, chiunque vedendomi avrebbe pensato la stessa cosa. Non ero certo la creatura più maestosa che qualcuno potesse aver visto…
Nel circo del signor David Grave, dove sono cresciuta, ero soprannominata La Bestia, mentre quando il mio padrone si sentiva gentile ero La Cosa; ma ogni possibile soprannome era per lo più incentrato su quanto fossi miserabile e brutta: una creatura deforme coperta di fango, polvere e peli; erano capitati dei giorni in cui qualcuno mi aveva scambiata per qualche animale bizzarro.
Il mio mondo triste era sostanzialmente confinato in quel circo dove ero stata accolta da piccola, accolta... si fa per dire; il mio letto era un mucchio di paglia dove i topi spesso banchettavano e la mia stanza, di solito il luogo preferito di ogni ragazza come me, era un vagone a gabbia, come quelli usati per gli animali. Forse era anche per questo motivo che venivo scambiata per un animale.
Il signor Grave spesso mi lasciava a pancia vuota, ritenendo che non avessi fatto un buon lavoro per intrattenere i clienti, dato che finivo sempre per spaventarli; ma nello stato in cui versavo come poteva succedere diversamente? In fondo era proprio per quel motivo che mi teneva rinchiusa. Se fossimo stati in un parco dell'orrore invece che in un circo per far divertire la gente, sarei stata di sicuro la star principale.
Essendo un fenomeno che baraccone, il signor Grave non mi aveva mai dato un nome; secondo lui era solo un ridicolo modo per farmi credere di aver un vago e remoto ruolo in questo mondo. Per sfuggire a questa esistenza, che non mi dava nemmeno un'identità, avevo imparato a leggere da sola, poco per volta, la mia unica valvola di sfogo in mezzo a quel mare di tristezza in cui sfociavano fiumi di critici e maleducati pronti a sputare le frasi peggiori; prendevo un libro ogni volta che ne avevo l'occasione, da quelli smarriti a quelli buttati.
Un racconto in particolare, anni fa, mi aveva colpita: raccontava di una bambina che riusciva a fuggire della sua triste esistenza venendo adottata da una famiglia nobile. Si chiamava Charlotte, e sembrava così triste e sola, proprio come me...così decisi che quello sarebbe stato il mio nome, il mio biglietto per un ruolo nel mondo. Sperai che, un giorno, anche a me sarebbe capitato un destino roseo come quello della protagonista. Quel libro era diventato come la mia vita parallela: io ero la piccola Charlotte, solo in un'altra parte del mondo e con un altro aspetto. Le sue pagine mi accompagnarono nelle notti insonne e nei momenti di sconforto, quando le lacrime ricavano il mio viso fino a creare solchi di pulito spostando i residui di fango e polvere. Mi perdevo in quei sentieri paralleli fatti di parole e punti, ascoltando musica fatta di lettere e profumi di carta; potevo osservare paesaggi fatti di tempera e cieli ruvidi, frequentavo una scuola fatta d'inchiostro e giocavo in un cortile invisibile con bambine astratte, fatte di quelle parole dolci che non sentivo da nessuno.
Il mondo dove vivevo fisicamente non era il mio reale posto, sapevo e speravo che presto tutto sarebbe cambiato.
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